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Il teatro è quello al centro.¹

Qualcuno potrebbe raffigurarsi il teatro come un saggio dalla barba bianca seduto in poltrona, forte della sua vecchiaia e portatore di un’esperienza millenaria, il quale dall’alto della propria vita già vissuta osserva silenzioso e benevolo noi che tentiamo di servirlo al meglio.

Invece più il tempo passa e più mi raffiguro il teatro come un ragazzino di tredici anni che consegna giornali per strada, strillando con voce piena a tutti i passanti le notizie del giorno. Il suo sguardo è quello strafottente di chi sa già che non esiste un domani, e che la vita si gioca adesso o mai più, non tra un mese o un anno, non quando le cose andranno meglio, non quando succederanno i miracoli. Adesso, o mai più. Nell’attimo impercettibile in cui il pensiero si trasforma in azione, si fa corpo in un impulso che fa vibrare l’aria di quella particolare verità che denuda tutti quelli che la sentono, una verità che non può essere ignorata, che prepotentemente si guadagna l’ascolto, l’attenzione altrui. Quella verità che gli attori, ormai “cresciuti”, non conoscono più e non riescono più a formare, quell’impulso che ha perso ogni slancio di “bambinanza”, di quel periodo, durato troppo poco, dove tutto l’essere partecipava alla manifestazione della vita attraverso di lui. Un essere che voleva sapere, voleva conoscere, voleva incontrare la vita e viverla in ogni istante, sempre piena, sempre adesso, sempre nel momento stesso nel quale essa si palesava dinnanzi ai suoi sensi sotto forma di colori, sapori, odori, musica e materia. Che ne è stato di lui, quell’essere che racchiudeva in sé tutta la potenza dell’universo? Sepolto sotto innumerevoli strati di inadeguatezze, di vergogne, di paure inculcategli a forza da chi invece doveva farne un capolavoro dell’umanità. Tenuto prigioniero, lontano da tutto ciò che è la vita, per non affrettare le cose, per proteggerlo, per salvarlo… dalla vita stessa.

E ci si ritrova adesso, apparentemente cresciuti e in salute, ma con dentro un’invidia sottile per quelli che sono ancora bambini, che hanno ancora il privilegio della verità che si manifesta. Oggi però non si strilla più in strada, sono tutti tranquilli nelle loro case sicure, si rispetta il quieto vivere. L’aspettativa di vita aumenta, la tecnologia avanza, l’analfabetismo è in diminuzione, quindi tutto può attendere. Oggi non si strilla, in strada.

C’è più tempo per crescere, ma questo non significa necessariamente che si vive di più.

Non arrivavano in molti fino a trent’anni.
La vecchiaia era un privilegio di alberi e pietre.
L’infanzia durava quanto quella dei cuccioli di lupo.
Bisognava sbrigarsi, fare in tempo a vivere
prima che tramontasse il sole,
prima che cadesse la neve.²

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¹ Fotografia di Lewis Hine (1874–1941)
https://www.metmuseum.org/art/collection/search/259797

“Le 11 del mattino del 9 maggio 1910, Strilloni allo Skeeter’s Branch (“La filiale dei moscerini”), Jefferson (street) vicino a Franklin (avenue). Stavano tutti fumando. Location: St. Louis, Missouri.”


² Wislawa Symborska, La breve vita dei nostri antenati, 1998

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