SuorBeatricediMaeterlinck

“Gordon Craig nei suoi scritti teorici afferma […] che l’attore il quale oggi recita e interpreta, domani dovrà solo rappresentare.”¹

L’attore deve farsi poesia, quindi metafora. Meglio dire figura retorica.

Quali sono le possibilità dell’attore per rappresentare? Come ben sappiamo, l’attore è l’unico artista (assieme al cantante, al ballerino, al mimo) che ha come strumento della propria arte, il corpo. L’attore rappresenta col proprio corpo. Già questo permetterebbe un ventaglio enorme di possibilità narrative, per un artista il quale conosce tutti i segreti del proprio strumento.

Ma immaginiamo per un attimo l’attore non come entità isolata ma come una parte essenziale (quindi non l’unica) di un sistema più complesso chiamato teatro, o per semplificare, spettacolo.

Se l’attore per rappresentare ha a disposizione il proprio corpo, il creatore dello spettacolo, ossia il regista, per rappresentare ha a disposizione molti altri strumenti, che andiamo a elencare, i quali gravitano attorno all’attore ampliando le possibilità rappresentative dello spettacolo. Gli strumenti del regista sono a disposizione, quindi non è obbligatorio utilizzarli tutti. Gordon Craig nella sua più famosa e incompresa frase, sosteneva persino che anche l’attore in carne e ossa poteva essere sostituito, al suo posto mettere una marionetta.²

Il testo: un attore durante uno spettacolo può (non è obbligatorio quindi) rappresentare un testo teatrale o poetico. In questo caso il corpo dell’attore si scontra con un elemento ‘al di fuori’ di se stesso, scritto da un’altra persona di un’altra epoca probabilmente. La difficoltà ma anche la sfida consiste nel riuscire a combinare se stesso con il testo, per produrre un significato che è più della somma degli addendi.

La scenografia: tutto quel mondo in cui un attore è immesso, durante una rappresentazione, per forza di cose lo connota (ma non è obbligatorio) in un tempo-spazio più o meno precisi, dando alla rappresentazione generale una sfumatura di ampiezza e comprensione diversa a seconda dei casi, anche se l’interpretazione e il testo dell’attore rimangono invariati. Scenografia qui si usa anche come ‘spazio scenico’, con tutte le differenze che questo comporta in termini spaziali.

Le luci: la convenzione per cui certi colori ci suggeriscono diversi stati d’animo a seconda della scala cromatica è ormai qualcosa di assodato culturalmente oltre che essere visibile in natura. Per chiunque guardi un documentario sugli animali diventa chiaro che la natura nel suo enorme progetto dettagliato distribuisce i colori degli animali, dei volatili, dei pesci e delle piante con una precisa logica coerenza. L’essere umano ha imparato (anche se ultimamente disimparato) l’uso dei colori nella rappresentazione scenica, e quello del light designer è un lavoro di tutto rispetto: una luce di intensità e colore diverso, a parità di altre condizioni, condiziona appunto la percezione della scena da parte dello spettatore. Banalmente, se c’è una luce raggiante che entra da una finestra suggerisce il giorno, mentre se la luce è molto flebile e fredda, dà l’impressione che sia notte.

La musica: che sia registrata (una scelta dettata dall’incapacità e impossibilità di trovare equivalenze adatte, che spero venga abolita al più presto), diegetica o dal vivo suonata da un’orchestra oppure dagli attori in scena, la musica è componente fondamentale di una rappresentazione. La musica guida il ritmo dello spettacolo, tiene viva l’attenzione dello spettatore e amplifica i colpi di scena.

I costumi: fermo restando il testo e la scenografia, l’uso di questo o quel costume per l’attore darà a uno spettacolo un sapore diverso, contribuendo anche a connotarlo, come la scenografia, in un contesto spazio-temporale precisato. Oltre a questo darà all’attore una forte connotazione personale, soprattutto agli occhi dello spettatore.
C’è una cosa che si sottovaluta molto dei costumi: essi costringono l’attore come in una seconda pelle, lo obbligano, a seconda di come sono costruiti, a dei movimenti diversi, a un modo di camminare differente; gli conferiscono insomma una libertà minore o maggiore di movimento, costringendolo a muoversi non come l’attore, ma come il personaggio. Ricordo bene quanto il mio maestro in accademia insistesse perché durante la lezione le ragazze si mettessero le gonne e non i pantaloni; ricordo anche che loro non riuscivano a comprendere il perché, credendola una richiesta sessista. Concludo citando Mejerchol’d: “E’ ora di finirla con l’orribile abitudine di ricevere i costumi tre giorni prima dello spettacolo”³

Lo spettatore quindi vedrà nell’attore, ormai avvolto in questi elementi, non più l’attore in sé, ma qualcuno di altro, un’altra persona, e lo chiamerà quindi “personaggio”. Riuscirà a capire anche dove si svolge l’azione e in quale epoca. Le luci e le musiche gli suggeriranno uno stato d’animo preciso.  Tutto ciò lo calerà all’interno dell’atmosfera particolare dello spettacolo, il quale veicolerà al meglio tutto ciò che si vuole rappresentare. Sempre teoricamente.

Ricapitoliamo: attore, testo, scenografia, luci, musiche, costumi. Questi sono gli strumenti del regista per poter comporre una rappresentazione.

Il regista può e deve intervenire su tutte queste variabili, le quali possono essere combinate insieme in una formula esponenziale.
Ciascuno di questi elementi può avere teoricamente infinite possibilità differenti narrative: un costume può essere cucito in infiniti tagli, colori e stili; le luci combinate sulla scala cromatica in milioni di sfumature differenti; la scenografia e lo spazio scenico possono essere costruiti e scombinati in una miriade di maniere differenti; un testo può essere tagliato, incollato, modificato, e recitato in moltissime sfumature, volumi e registri diversi; le musiche ovviamente danno una possibilità di combinazioni di cui è superfluo accennare; l’attore infine, può essere alto, basso, nero, bianco, asiatico ecc, ecc. E lo stesso attore può essere guidato ad agire in scena in diversissime maniere.

Dunque la combinazione di uno o più elementi in infinite maniere, porta matematicamente a infiniti risultati differenti. Agire anche su uno solo degli elementi mantenendo inalterati gli altri porta a un diverso senso dello spettacolo o della singola scena: recitare l’Amleto in camicia di forza piuttosto che in camicia da notte produce significati e metafore differenti nella percezione dello spettatore.
(Ovviamente poi ci sarebbe la questione della coerenza totale dello spettacolo: la scenografia dovrebbe essere un manicomio, le luci e i costumi adeguarsi, le musiche pure, ma questo è un capitolo ulteriore)

Sta alla sensibilità del regista, quindi, a quello che vuole raccontare, la combinazione di questi elementi in un tutt’uno coerente con il messaggio che intende veicolare. La cosa da tenere bene a mente è che qualsiasi modifica anche insignificante facciamo a una di queste variabili, il risultato finale sarà diverso. Questo può aiutare il regista nelle sue equazioni.

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¹ Vsevolod Mejerchol’d, 1918: Lezioni di teatro, Ubulibri 2005 (p.65)

² “L’attore deve andarsene, e al suo posto deve intervenire la figura inanimata – possiamo chiamarla la Supermarionetta, in attesa di un termine adeguato.”
L’attore e la Supermarionetta a cura P.E. Giusti, in Edward Gordon Craig, Society for Theatre research, s.l, 1919, p. 34.

³ Vsevolod Mejerchol’d, 1918: Lezioni di teatro, Ubulibri 2005 (p.57)

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