*Questa lettera è stata scritta in occasione della fine delle audizioni per il laboratorio teatrale a Tirana nel novembre 2014 ed è stata dedicata a tutti i partecipanti. A due anni e mezzo di distanza la ripropongo tradotta in italiano poiché, oltre al valore storico, credo possa essere valida anche oggi in Italia senza che perda il suo originario valore etico.

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Alcuni membri del laboratorio teatrale presso la sede di “Teatri Popullor”, Tirana 2015

In sei giorni con voi, seduti in una sala nera di legno, ho visto, osservato, ascoltato, sentito sempre qualcosa da ciascuno di voi. Avete tutti, anche se molti di voi sono molto giovani, una forza, una mente, una volontà che è abile, ancora in grado di non farsi sporcare da questo mondo che troppo spesso ci vuole schiavi, servili, ipocriti, giorno dopo giorno. Comprendete che c’è qualcosa di malato in questa società, lo sentite col vostro corpo che le cose non sono al loro posto. Sentite anche di star perdendo tempo, di star perdendo vita.
La difesa da questa vita che vi sembra sbagliata ha fatto sì che alcuni di voi si isolassero, chiudendosi in loro stessi, perché quando il mondo fuori non ci accetta così come siamo, noi creiamo un mondo a parte, e lo riempiamo dei nostri sogni, delle nostre idee, delle nostre speranze. È il nostro mondo, dove tutto è giusto, dove i poeti rivivono, ogni notte, sotto le lenzuola. Dove versiamo lacrime per film con attori morti. Dove sentiamo le melodie di coloro che ci hanno lasciato la sofferenza in forma di musica, e ci dicono cantando: «don’t you worry, about a thing, ’cause every little thing, is gonna be allright».
Voi vi isolate, perché non trovate persone che vi possano capire fino in fondo, non riuscite a trovare un luogo reale nel quale poter essere quelli che siete, senza nascondervi, senza fingere, senza la preoccupazione di quel che penseranno gli altri su di voi. Un luogo dove non avere vergogna di quello che siete. Dove non sentirvi giudicati ma solo compresi.
E quelli di voi che non si vogliono isolare, diventano pian piano parte di questo sistema, senza sentirlo: come la neve che cade e copre ogni cosa senza far rumore, anche il vostro spirito, si copre di una patina che pian piano lo nasconde, e voi stessi non riuscite più a ricordare che sotto quella neve ci sino ancora fiori colorati che aspettano di sbocciare: i fiori dell’infanzia. Così, il conformismo prende possesso dello spirito, rendendovi uguale agli altri, senza distinzione, senza colore, senza sapore, senza visione, senza futuro, senza sogni. E il tempo passa, e gli anni vanno uno dopo l’altro, e in mano non resta niente, tranne le rughe della malinconia.
Ma l’isolamento è mortale, ogni sistema chiuso è destinato a fallire. E così pure il conformismo è mortale, perché è solo il contrasto e l’opposizione delle idee che rende possibile lo sviluppo e il progresso del mondo.
Lasciate perdere, l’isolamento e il conformismo, sono due facce della stessa medaglia. Voi vi isolate perché non avete qualcuno che vi capisca; voi vi conformate perché non volete restare soli. Ma esiste una terza strada, la quale è più difficile perché è la strada che va verso l’orizzonte, il quale non si può mai afferrare. Ma allora, a cosa ci serve l’orizzonte quando è inarrivabile? Per camminare in avanti.
Dovete trovare il vostro orizzonte, dovete cercare, senza pietà per voi stessi, anche se sarà una ricerca utopica, anche se le difficoltà dell’inizio vi daranno solo occasione di fuggire o arrendervi. Anche se vi sembrerà di star combattendo contro i mulini a vento. Ma solo cercando voi stessi in questa maniera, con sincerità e senza mentirvi, vi verrà data la possibilità di incontrare altre persone, che stanno cercando la stessa cosa, verso l’orizzonte, come voi. E vi vedrete, e vi distinguerete, e camminerete insieme.
Soltanto non nascondendosi dietro il muro dell’isolamento e del conformismo, potrà essere possibile un incontro autentico e sincero tra le persone che hanno gli stessi vostri desideri, e allora il camminare insieme si trasformerà in qualcosa che nel nostro caso, alcune persone chiamano “teatro”, e alcuni altri, più semplicemente, chiamano “vita”.

Mateo Çili

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