I materiali di training servono all’attore come le toppe di Arlecchino: più variazione c’è, più è difficile dire di che colore sia il suo costume. Alcuni attori puntano tutto sull’allenamento della parola, altri puntano tutto sull’allenamento del corpo: questo sbaglio è “colpa” anche dei retaggi di alcune accademie, le quali confondono ancora di più i giovani attori che si accingono a intraprendere il mestiere, ignari e fiduciosi di quelle istituzioni che dicono ciascuna, implicitamente, di detenere i segreti della vera recitazione. Qui c’è un errore alla base, e va sradicato quanto prima per non alimentare altri malintesi, per aiutare a creare un attore completo che fa uso intelligente e organico della tecnica.
Un attore del “teatro di parola” o “accademico” che dir si voglia, si riconosce subito, così come si riconosce subito un attore del “teatro fisico”. Ma il fisico e la parola non sono due universi in contrapposizione, sebbene il cosiddetto Terzo teatro abbia suo malgrado contribuito ad alimentare questo malinteso.
In questo, una parte di quella che chiamo “colpa” è dell’Odin Teatret, capostipite e inventore della dicitura Terzo teatro, così come uno dei gruppi tutt’ora più influenti del teatro contemporaneo: Eugenio Barba, il regista del gruppo, forte della sua esperienza con Jerzy Grotowski ha optato per creare spettacoli che fossero liberi dall’influenza della parola, ma solamente poiché non la padroneggiava, essendo costretto in un paese del quale non conosceva bene la lingua, puntando sul corpo come principale veicolo di trasmissione dei significati. Non bisogna nemmeno dimenticare che Eugenio Barba non era un regista tradizionale, non aveva studiato il mestiere ma solo assistito Grotowski per due anni e mezzo, quando il regista polacco era all’inizio del suo percorso sperimentale.
Sicuramente questi primi spettacoli hanno senz’altro influito sulla poetica successiva dell’Odin Teatret, che si è aperto alla parola data una maggiore padronanza della stessa col passare del tempo e il multilinguismo acquisito negli anni dai suoi attori, mantenendo comunque nelle potenzialità del corpo la maggiore forza dei suoi spettacoli. Una caratteristica degli spettacoli dell’Odin era quella di scomporre artificialmente l’organicità del corpo dividendo tra azione corporea e vocale, “muovendo le mani nell’aria mentre si recita qualcosa di totalmente sconnesso da ciò che si sta facendo”, per annullare il realismo “alla Stanislavskij” evitando che gli attori riempissero le scene ciascuno con i propri cliché quotidiani.
Molti gruppi emuli di quegli anni ma anche di questi anni, hanno seguito fedelmente quelle direttive, complice anche l’uscita di un libro fondamentale come Per un teatro povero di Jerzy Grotowski, libro tra i più travisati e incompresi, assieme a Il lavoro dell’attore di Konstantin Stanislavskij.
Nel libro di Grotowski veniva dato un grande risalto agli esercizi fisici e vocali e molti attori e gruppi eseguirono letteralmente quegli esercizi (non avendoli mai visti fare), ma non elaborandoli per i propri scopi e facendone un’evoluzione, bensì come fossero un dogma biblico del segreto della recitazione.
Grotowski in una vecchia intervista televisiva si era lamentato asserendo: “Dicono che il mio teatro sia un teatro fisico, ma i miei attori negli spettacoli parlano per tutto il tempo!” Il che è vero.
L’anno scorso ho partecipato a un incontro con un regista e pedagogo teatrale del Terzo teatro, e lui mi disse una cosa che per me era diventata chiara e che dovrebbe far pensare tutti. Disse: “Recentemente ho fatto l’attore per uno spettacolo di teatro classico e mi ha fatto riflettere. Non è possibile dividere la voce dal corpo trattandole e allenandole come se fossero due entità distinte. So che oggi forse è chiaro, ma fino a vent’anni fa non lo era. Adesso devo ripensare tutto il mio metodo di allenamento.”
Eppure ci sono un sacco di gruppi e scuole che continuano a lavorare solo su una o l’altra componente, come se si potesse tirare una linea netta, come se fossero due cose che non devono andare insieme organicamente.
Corpo e parola fanno parte di un organismo unico. La parola è corpo, poiché si forma fisicamente all’interno di esso: si tratta di aria immagazzinata nei polmoni che colpisce le corde vocali facendole vibrare fisicamente a determiniate frequenze. Le onde sonore che si formano sono, anche se non le vediamo, delle onde fisiche e tangibili che vanno a risuonare nelle cavità del nostro corpo propagandosi all’esterno per colpire il nostro apparato uditivo permettendoci di sentire quei suoni. Possiamo dire che la parola è l’azione fisica ultima, quella più microscopica che il nostro corpo riesce a emettere. Infatti basterebbe solamente sentire un attore, senza bisogno di vederlo, per capire se la sua recitazione è vera o meno, poiché la voce è la cartina tornasole del corpo-pensiero che la forma. La parola si forma all’interno del corpo ma le azioni fisiche corporee precedono la parola e la influenzano, l’azione di respirare prima di emettere suono è appunto antecedente all’emissione vocale e influisce sull’emissione stessa: se non prendo abbastanza aria non riuscirò a emettere il suono a un livello alto di volume, oppure non avrò abbastanza aria per finire la frase e mi toccherà fermarmi per riprendere fiato e continuare. La parola quindi, per formarsi, passa attraverso il corpo e ne viene fisicamente influenzata, diventando parte di un processo più grande che coinvolge il corpo nella sua totalità. La parola diventa quindi organica, e qualsiasi pensiero passi attraverso il filtro organico del corpo fisico, non può che essere giusto e risuonare vero.
La parola si forma in due fasi: intenzione e intonazione.
L’intenzione è la fase che precede l’emissione vocale, è la fase nella quale il pensiero si forma e vuole farsi corpo attraverso la voce e il fisico dell’attore.
L’intonazione non è altro che il pensiero concretizzato fisicamente tramite l’emissione vocale. E’ in pratica ciò che sentiamo. Se l’intenzione è reale, ossia se l’attore è deciso, e sta pensando realmente a quello che sta dicendo, l’intonazione non potrà che essere organica e giusta. Se invece l’attore sta solamente ripetendo un testo a memoria, preoccupandosi di “intonare” in un certo modo le frasi in modo meccanico, si vedrà chiaramente che c’è una disorganicità tra corpo e voce, ossia le azioni corporee non corrisponderanno al pensiero che si sta esprimendo. Se questo è fatto di proposito per creare degli effetti di straniamento o artistici in uno spettacolo, come spesso fanno gli attori dell’Odin, è un conto. Ma se questo viene fatto in uno spettacolo “realistico”, come molto spesso succede, ci sono dei problemi.
Quindi, se la parola risulta falsa, vuol dire che non c’è organicità nel corpo, ma solo un’alterazione artificiale dell’intonazione.
Per sperimentarlo provate a dire una frase qualsiasi o un monologo, da fermi, senza fare alcun movimento. Soprattutto se siete attori giovani, risulterete per lo più falsi. Poi iniziate a dire la stessa frase o monologo muovendovi nello spazio. Successivamente aggiungete altre azioni fisicamente intense come saltellare, correre, abbassarvi e alzarvi velocemente, cambiando direzioni all’improvviso, sempre continuando a ripetere quello che state dicendo per qualche minuto senza fermarvi. Il vostro corpo inizia a fare fatica, i muscoli quindi richiedono più ossigeno, il cuore inizia a pompare il sangue più velocemente e i polmoni immagazzinano più aria per provvedere al nuovo fabbisogno. Ma se siete occupati a respirare diventa più difficile poter parlare: comincerete a fermarvi a metà di una frase per prendere aria, il vostro corpo, dalla stanchezza, inizierà ad agire senza il controllo della mente, ritrovando organicità. L’intenzione di quello che state dicendo sta passando ora attraverso il filtro del vostro corpo fisico, scontrandosi fisicamente con la fatica e venendo influenzata dai vostri movimenti e azioni. Questo processo non è altro che l’organicità del corpo in azione. Qualsiasi intenzione di pensiero che diventa intonazione vocale, se passa attraverso il filtro dell’organicità del corpo, non può essere falsa. Per questo motivo è essenziale il concetto delle azioni fisiche, così caro a Stanislavskij.
Concludendo, separare corpo e parola può essere utile in alcuni specifici casi nei quali di proposito si vuole creare un determinato effetto nella mente dello spettatore, ma prima di poter fare questa separazione, bisogna saper eseguire la fase propedeutica, che è quella dell’unione organica tra corpo e voce, in un cosiddetto “stile” realistico dove ogni azione influenza organicamente, logicamente e coerentemente la parola che viene pronunciata.
La prossima volta che guardate uno spettacolo teatrale, provate a chiudere gli occhi per qualche secondo mentre gli attori stanno parlando: il vostro udito vi dirà se quello che sentirete suona vero o meno. Così magari potete azzardarvi, se ne avete voglia e coraggio, a fare quello che faceva Stanislavskij con i propri attori, quando assisteva alle prove nelle ultime file di poltrone del teatro, gridando all’improvviso: “non ti credo!”

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