41. Perché il teatro non è un’arte democratica?

Perché la collettività, l’essere umano, non è abbastanza evoluto da potersi autogestire in una situazione di gruppo, per di più artistica, dove ciascuno può esprimere un punto di vista e idealmente possono essere tutti giusti. Serve quindi una persona che abbia l’ultima parola, che possa decidere, in virtù del fatto che vede le cose da una posizione privilegiata, e questa persona è il regista. Ma ogni attore deve essere un regista, deve contrastare il regista: è dall’attrito tra regista e attori che nasce lo spettacolo.

42. Potrebbe esserlo o lo è stato?

Certamente, lo è stato e potrebbe esserlo nella misura in cui i propri membri siano persone evolute alla stessa maniera e non dominate dall’ego, ma questa situazione è assai rara.

43. Quali sono i grandi attori e i pedagoghi a cui fai riferimento nel tuo lavoro?

Sicuramente il maestro di riferimento è Stanislavskij e la sua ricerca, proseguita poi da Grotowski. Poi certamente Mejerchol’d, Eugenio Barba e Peter Brook sono un’ispirazione sia per la pedagogia e per la loro arte ma soprattutto per la metodicità che hanno avuto, dedicando la vita a questo mestiere; quando le cose diventano difficili il pensiero va a loro e ai loro sacrifici: così ci si sente più leggeri pensando agli sforzi e agli ostacoli che loro hanno dovuto affrontare, i quali comparati ai nostri sono stati molto più grandi.

Riguardo agli attori, tutti coloro che hanno usato il mezzo recitativo per un loro reale sviluppo umano oltre che artistico hanno tutto il mio rispetto.

44. Qual è il tuo rapporto con il lascito dei grandi pedagoghi?

Come dicevo, i pedagoghi mi affascinano proprio per la loro ricerca senza sosta e la loro concentrazione e ostinazione ad andare avanti per quel cammino. Sono loro che mi ricordano che la strada verso il teatro non ha mai fine, perché in realtà è la strada verso la comprensione di sé, ed è questo che mi fa accogliere con un sorriso di compassione chiunque venga alla nostra scuola e si aspetti risultati dopo due mesi senza investire in fatica e disciplina lamentandosi che non sta imparando niente, decidendo di mollare.

45. Ci sono compagnie di ricerca che stimi oggi in Italia?

La mia stima va a tutte le compagnie che fanno un percorso di ricerca sincero e profondo non compromettendo la propria poetica, dedicando molto del loro tempo ad approfondire la conoscenza di loro stessi attraverso questo mestiere.

46. Cosa pensi dell’ esperienze para-teatrali che si sono sviluppate  negli anni ‘70 e di quelle che si sono protratte ai giorni nostri?

Penso che il lavoro dell’attore, come qualsiasi lavoro artistico possa venire affrontato in molteplici modi: un modo è semplicemente quello di vederlo come un lavoro, ossia creare spettacoli per un pubblico che li guarda e che paga per questo.

Un altro modo è utilizzare il teatro (o qualsiasi altra arte) come un ariete per sfondare la porta chiusa che ci separa da una profonda conoscenza di noi stessi come esseri umani, e una volta conosciuti noi stessi, attraverso il teatro conoscere anche gli altri esseri umani. Questo è il caso del parateatro, e ciò mi trova molto d’accordo se l’esperienza parateatrale è seria, profonda e metodica, e non invece un urlare a caso di notte abbracciando gli alberi.

Un terzo caso è unire i due propositi. Gli spettacoli in questo caso sarebbero solo un effetto collaterale del lavoro, non il fine. Ecco, per me è più interessante questa seconda visione: il non allontanarsi per forza dalle esperienze teatrali, ossia artistiche, in favore di quelle para teatrali, ma procedere di pari passo.

47. Se Grotowski fosse vivo e vedesse il Workcenter oggi cosa direbbe?

Grotowski è morto nel 1999. Nessuno può parlare in suo nome.

 

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